Domenico Tiburzi
Domenico Tiburzi, brigante, nasce a Pianiano piccolissima frazione del comune di Cellere, il 28 maggio 1836 da Nicola Tiburzi e da Luisa Attili. Fu battezzato il 29 maggio 1836 da Don Giuseppe Radicetti, fu portato al fonte battesimale dai padrini Giovanni Andrea Piermartini e da Caterina Testa, gli venne dato il nome di Domenico Luigi. A sedici anni era già diventato ladro e ricercato dalla legge, a diciannove rischiò di essere imputato per altre due volte, fu scagionato. A ventisette anni venne arrestato per aggressione a mano armata, fu poi rilasciato per la desistenza della parte offesa. Sposò Veronica dell’Aia, la quale gli darà due figli. Domenico Tiburzi fu promotore e propugnatore degli ideali risorgimentali dell’Associazione Castrense. Il 16 gennaio 1867 il Comandante Freddi, Comandante della Gendarmeria Generale di Viterbo, scrive un comunicato al Procuratore Fiscale, chiedendo di poter arrestare Domenico Tiburzi da Cellere, Filippo Pasqualini, Arsenio Brancadoro, Francesco Poggetti, Felice Menicucci e Domenico T detto Migna Migno, perché sospetti di essere rivoluzionari e propaganatori del Comitato d’Azione di Castro. Lavorava presso il marchese Giulio Guglielmi. Una sera il guardiano del marchese lo sorprese mentre falciava un fascio d’erba e lo multò: 20 £. Una grandissima cifra per i tempi che correvano. Non riuscì a placare la sua folle rabbia, così uccise con un colpo di fucile Angelo Del Bono il 27 ottobre 1867, dopo esser stato punito da lui per diverse volte. Per questo omicidio fu arrestato il 15 settembre 1868 e processato presso il Tribunale di Civitavecchia il 21 agosto 1869, viene condannato a 18 anni di reclusione da scontare presso il Bagno Penale di Corneto (l’odierna Tarquinia). Evase il 1 giugno 1872 insieme ad altri due galeotti e si diede alla macchia ricattando fattori e possidenti. Questi avevano formato una banda insieme a Davide Biscarini, brigante di Marciano, Vincenzo Pastorini da Latera, Biagini Domenico da Farnese. Il 25 gennaio 1874 commette il secondo omicidio, dopo naturalmente aver derubato tantissima gente. Uccise un contadino, Domenico Cerasoli venuto a Cellere per la raccolta delle olive. Per questo omicidio Tiburzi viene condannato a morte dalla Corte d’Assise di Viterbo, l’8 giugno 1880. Il 12 dicembre 1877 i carabinieri di Canino e di Farnese uccisero nei pressi della grotta del Paternale il Biscarini, e ferirono leggermente Domenico Biagini. Antonio Vestri di Farnese, il 12 dicembre 1882 tradisce i suoi benefattori indicando ai carabinieri la loro capanna per la taglia che pendeva sulle loro teste. Questi riuscirono a fuggire alla cattura e a loro volta si vendicarono uccidendo il Vestri. Inviarono in paese due contadini a riferire tutto quello che avevano visto e ciò che i briganti avevano detto loro di dire. Oltre ai manutengoli anche il Parroco di Pianiano, Don Vincenzo Danti rifocillava Tiburzi ed i suoi compari. Don Vincenzo uccise per legittima difesa il brigante Veleno. Col passar degli anni e per la paura di perdere la vita mise delle regole, le estorsioni le sostituì con la “Tassa del Brigantaggio”. Nel 1893 con lo scandalo della Banca Romana il governo Giolitti fu travolto, a Roma vennero fatte delle nuove elezioni per un collegio rimasto vagante. Si formarono dei comitati elettorali, furono raccolte 1200 firme per presentare la candidatura a deputato: Domenico Tiburzi. La notte del 28 ottobre 1896 alle Forane, una pattuglia di carabinieri di Marsigliana e di Capalbio irrompono in una povera abitazione e iniziano a sparare. Domenico Tiburzi da Cellere rimase ucciso, prima di spirare pronunciò la seguente frase: “Non cercatemi più, sono Tiburzi.” Venne sepolto con metà del corpo dentro il cimitero, l’altra metà, era sepolta al suo esterno.