Cellere - La Tuscia all' ombra dei Farnese

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Cellere è un comune, situato nel Lazio, in provincia di Viterbo posto a 344 metri s.l.m. La sua origine sembrerebbe Romana, potrebbe derivare da un centro anticamente esistito che si chiamava Cellae Cerris. Anche se le prime notizie storiche attendibili risalgono all’VIII secolo.  Nel periodo Etrusco fu scelto dagli abitanti della vicina Vulci come granaio. In pochi metri vennero scavati centinaia di pozzi i quali venivano riempiti con i loro raccolti, per questo motivo Cellere venne dedicato a Cerere, dea delle messi. All’VIII secolo risale un atto di compravendita, del marzo 738, dove si trova la citazione del fondo di Cellere. Altre notizie risalgono al 1254 quando l’antipapa Innocenzo III fece dono dei i castelli di Cellere e Canino. Cellere passò poi sotto il dominio di Toscanella, risalente al 1300, la popolazione però non accettò la cosa. Nel 1308 i baroni di Cellere e quelli dei castelli limitrofi dovettero giurare pubblicamente la fedeltà a Tuscania. Nel 1354 il Cardinale Egidio Albornoz notificò a Cellere gli atti di sottomissione alla Camera Apostolica, il giuramento per il borgo fu firmato da Puccio, Pietruccio, Ranuccio e Francesco Farnese, figli di Cola di Ranuccio, la sua presenza a Cellere risale al 1340, Pianiano giurò nel 1354 e fu fatto da Cola di Nino Farnese, Signore del borgo.  La Signoria Farnesiana fu confermata da Papa Pio II nel 1461. Cellere e Pianiano entrarono a far parte del Ducato di Castro il 31 ottobre 1537. Pier Luigi Farnese migliorò il borgo ed ampliò il centro abitato. Mons. Giulio Spinola, Governatore di Viterbo e Rettore del Patrimonio di San Pietro in Tuscia ricevette l’incarico da papa Innocenzo X, di far guerra contro Castro con l’ausilio delle truppe Pontificie comandate da Davide Vidman, di assediarla e raderla al suolo. Le spese sostenute per la battaglia vennero richieste agli abitanti dei centri farnesiani, Cellere pagò 370 scudi e altri 105 perché alcuni celleresi si erano rifiutati di andare a radere al suolo la città. Nel 1788 papa Pio VI lo concesse al Marchese Casali, Patriarca, insieme a Pianiano e Tessennano.  Il 2 agosto 1833 la Reverenda Camera Apostolica lo vendette a Marchese Francesco Brancadoro che a sua volta lo vendette, l’anno successivo, ai Conti Macchi che l’hanno posseduta sino al 1920 e che ancora ne conservano il titolo. Ritornò alla chiesa e seguì la sorte del Patrimonio di San Pietro in Tuscia fino al Risorgimento per poi essere annessa al Regno d’Italia grazie al grandissimo interesse di Tommaso e Francesco Mazzarigi.

Gerolama Orsini
Gerolama Orsini, nasce a Roma nel 1504, da Ludovico Orsini, Conte di Pitigliano e da Giulia Conti. Nel 1513 fu redatto un contratto di fidanzamento tra Gerolama Orsini e Pier Luigi Farnese, e nel 1519 le nozze furono celebrate a Valentano. Suo marito era il figlio illegittimo di Papa Paolo III e di Silvia Ruffini. La coppia ebbe cinque figli di cui tre avrebbero avuto progenie. Cardinale Alessandro, Ottavio, Duca di Parma Orazio, Duca di Castro, Cardinale Ranuccio, Vittoria, Duchessa di Urbino. Nonostante un matrimonio senza amore, Gerolama rimase una moglie fedele e devota, tollerante agli eccessi di Pier Luigi, la sua brutalità e stravaganza con dignità.  Quando il Cardinale Alessandro Farnese diventò Papa Paolo III nel 1534 rese suo figlio Pier Luigi capitano-generale della Chiesa e nel 1537 duca di Castro ed infine nel 1545 Duca di Parma e Piacenza. Fu assassinato nel 1547, e Gerolama gli sopravvisse di 43 anni, morendo a Palazzo Farnese a Piacenza nel 1570. Fu sepolta nella cripta dei Farnese nel Basilica di Santa Maria della Steccata a Parma.


Pianiano
Le vicende storiche di Pianiano sono legate a quelle del comune di Cellere. Nel 1491, Pierluigi Farnese Senior vendette la metà del borgo agli Orsini di Pitigliano e Alessandro Farnese, futuro papa Paolo III, lo riacquistò nel 1501. Fu inserito nel Ducato di Castro anche se i nomi di Pianiano e Cellere, Papa Paolo III non le inserì nella Bolla Pontificia con la quale decretò l’istituzione del Ducato.  Intorno al 1600, a causa della malaria, il piccolo borgo si spopola, rimanendo abbandonato fino alla metà del Settecento.   Nel 1729 il comune di Pianiano venne soppresso ed unito al comune di Cellere. Due fatti da menzionare accaddero a Pianiano durante il fenomeno del Brigantaggio. Da ricordare poi che Domenico Tiburzi nacque nel piccolo borgo. Luigi Scambrini detto Veleno, follemente innamorato di Fiorangela Colelli, donna di facili costumi, si dice anche amica di Domenico Tiburzi, si trovava al servizio di Don Vincenzo Danti, il prete amico dei briganti.  Geloso del parroco gli mandò un’imbasciata, cosa che fece per diverse volte, quella di lasciare andare la sua serva altrimenti lo avrebbe ucciso. Don Vincenzo non ascoltò le minacce. Il 4 agosto 1867, Veleno aspettò il curato, lo sequestrò e lo condusse in un luogo inaccessibile. Lo fece inginocchiare e gli ordinò di mettersi il fazzoletto sugli occhi. Il prete chiese che fosse lui a metterglielo. Veleno poggiò a terra il fucile, si avvicinò per prendere il fazzoletto, don Vincenzo tirò fuori dalla tasca uno stiletto e glielo conficcò nella pancia, lottarono per un po’ e poco dopo il brigante spirò. Il corpo di Veleno venne messo  per 24 ore in un campo ed in seguito sepolto fuori dal vecchio cimitero  senza cassa.
L’altro caso accaduto a Pianiano, riguarda il brigante Tiburzi.
Domenico Tiburzi dopo essere scappato dalle Saline (Tarquinia), il 1 giugno 1872 si recò presso il vecchio protettore, Don Vincenzo Danti. Il parroco lo accolse, lo rifocillò, chiamò il “facocchio” per fargli togliere le catene alle caviglie e poi lo convinse a lasciare il borgo perché temeva che da li a poco sarebbero arrivati i Reali Carabinieri, sapeva che si trovavano in zona per catturarlo, con Tiburzi vi erano altri due evasi.


Domenico Tiburzi
Domenico Tiburzi, brigante, nasce a Pianiano piccolissima frazione del comune di Cellere, il 28 maggio 1836 da Nicola Tiburzi e da Luisa Attili. Fu battezzato il 29 maggio 1836 da Don Giuseppe Radicetti, fu portato al fonte battesimale dai padrini Giovanni Andrea Piermartini e da Caterina Testa, gli venne dato il nome di Domenico Luigi. A sedici anni era già diventato ladro e ricercato dalla legge, a diciannove rischiò di essere imputato per altre due volte, fu scagionato. A ventisette anni venne arrestato per aggressione a mano armata, fu poi rilasciato per la desistenza della parte offesa. Sposò Veronica dell’Aia, la quale gli darà due figli. Domenico Tiburzi fu promotore e propugnatore degli ideali risorgimentali dell’Associazione Castrense. Il 16 gennaio 1867 il Comandante Freddi, Comandante della Gendarmeria Generale di Viterbo, scrive un comunicato al Procuratore Fiscale, chiedendo di poter arrestare Domenico Tiburzi da Cellere, Filippo Pasqualini, Arsenio Brancadoro, Francesco Poggetti, Felice Menicucci e Domenico T detto Migna Migno, perché sospetti di essere rivoluzionari e propaganatori del Comitato d’Azione di Castro. Lavorava presso il marchese Giulio Guglielmi. Una sera il guardiano del marchese lo sorprese mentre falciava un fascio d’erba e lo multò: 20 £. Una grandissima cifra per i tempi che correvano. Non riuscì a placare la sua folle rabbia, così uccise con un colpo di fucile Angelo Del Bono il 27 ottobre 1867, dopo esser stato punito da lui per diverse volte. Per questo omicidio fu arrestato il 15 settembre 1868 e processato presso il Tribunale di Civitavecchia il 21 agosto 1869, viene condannato a 18 anni di reclusione da scontare presso il Bagno Penale di Corneto (l’odierna Tarquinia). Evase il 1 giugno 1872 insieme ad altri due galeotti e si diede alla macchia ricattando fattori e possidenti. Questi avevano formato una banda insieme a Davide Biscarini, brigante di Marciano, Vincenzo Pastorini da Latera, Biagini Domenico da Farnese. Il 25 gennaio 1874 commette il secondo omicidio, dopo naturalmente aver derubato tantissima gente. Uccise un contadino, Domenico Cerasoli venuto a Cellere per la raccolta delle olive. Per questo omicidio Tiburzi viene condannato a morte dalla Corte d’Assise di Viterbo, l’8 giugno 1880. Il 12 dicembre 1877 i carabinieri di Canino e di Farnese uccisero nei pressi della grotta del Paternale il Biscarini, e ferirono leggermente Domenico Biagini. Antonio Vestri di Farnese, il 12 dicembre 1882 tradisce i suoi benefattori indicando ai carabinieri la loro capanna per la taglia che pendeva sulle loro teste. Questi riuscirono a fuggire alla cattura e a loro volta si vendicarono uccidendo il Vestri. Inviarono in paese due contadini a riferire tutto quello che avevano visto e ciò che i briganti avevano detto loro di dire. Oltre ai manutengoli anche il Parroco di Pianiano, Don Vincenzo Danti rifocillava Tiburzi ed i suoi compari. Don Vincenzo uccise per legittima difesa il brigante Veleno. Col passar degli anni e per la paura di perdere la vita mise delle regole, le estorsioni le sostituì con la “Tassa del Brigantaggio”. Nel 1893 con lo scandalo della Banca Romana il governo Giolitti fu travolto, a Roma vennero fatte delle nuove elezioni per un collegio rimasto vagante. Si formarono dei comitati elettorali, furono raccolte 1200 firme per presentare la candidatura a deputato: Domenico Tiburzi. La notte del 28 ottobre 1896 alle Forane, una pattuglia di carabinieri di Marsigliana e di Capalbio irrompono in una povera abitazione e iniziano a sparare. Domenico Tiburzi da Cellere rimase ucciso, prima di spirare pronunciò la seguente frase: “Non cercatemi più, sono Tiburzi.” Venne sepolto con metà del corpo dentro il cimitero, l’altra metà, era sepolta al suo esterno.

 
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