Marta - La Tuscia all' ombra dei Farnese

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E’ un piccolo paese situato nel Lazio, in Provincia di Viterbo a 315 metri sul livello del mare. Alcuni studiosi fanno risalire l’abitato al periodo Fenicio, dal quale deriverebbe il nome di Marath, altri invece lo fanno risalire a quello Etrusco. Marta ha avuto una storia travagliata, è stata contesa tra Stati limitrofi e potenti Famiglie. Al suo governo si sono avvicendati i Prefetti di Vico, i Signori di Bisenzio, le città di Viterbo e d’ Orvieto. Successivamente dalle Famiglie Orsini e Farnese. Nel 1537 venne inclusa nel Ducato di Castro, costituito da papa Paolo III Farnese per il figlio Pierluigi e vi rimase fino alla sua distruzione avvenuta nel 1649. Tornò sotto la Camera Apostolica e ne restò in suo possesso fino all’Unità d’Italia, tranne per due periodi dove fu concessa al Marchese Pietro della Fargna nel 1788 e al Principe Polacco Stanislao Poniatowsky.

La Torre dell’Orologio
La torre è antichissima e potrebbe risalire a un’epoca antecedente al XII secolo. Il dato è confermato da diverse fonti storiche ed in particolare quella del Bussi, che nella sua storia di Viterbo racconta che i viterbesi se ne impadronirono nel 1197, dopo aver battuto e ucciso Janni Macaro che ne era il Signore. Padre Flaminio Annibali da Latera, riporta di una sua ricostruzione avvenuta nel 1323 sotto il pontificato di papa Giovanni XXII.  Un decennio dopo la torre fu di nuovo riedificata. Nel XV secolo si pensa sia stata restaurata nuovamente, questo è testimoniato dal fatto che Pierluigi Farnese vi appose il proprio stemma e cioè un liocorno sovrastante un cimiero piumato e uno scudo con gigli seminati.


La Chiesa della Madonna del Monte
La fondazione del Santuario potrebbe risalire al 460, quando la popolazione ricostruì la Chiesa e il Convento, dalle fondamenta. Il convento fu custodito dai monaci Benedettini e abbandonato probabilmente nel secolo XII. La facciata della chiesa invece risale al 1485, fu fatta costruire da Pietro e Gabriele Farnese. I martani già da prima si recavano a venerare un affresco, databile ai primi del ’400, di scuola Umbro - Senese, raffigurante la Vergine col Bambino benedicente tra i Santi Giovanni Battista e Pietro. Ogni 14 maggio si celebra da secoli la Festa delle Passate o Barabbata, che il libro dei Consigli Comunali fa risalire al XVI secolo. Era contro questa festa il vescovo Barbarigo, alcuni documenti dei Minimi, seguaci di San Francesco di Paola, che avevano avuto in affidamento il Santuario dal 1547, ce ne danno conferma. La leggenda dice che la Madonna apparve ad una donna che di mestiere faceva la fornaia e che si era recata sul monte a far legna. La Vergine le chiese di avvisare i preti che andassero a prenderla e le dedicassero una chiesa. I preti accorsero e nel luogo dell’apparizione vi trovarono un’immagine. La presero per portarla via, ma durante il percorso si fece sempre più pesante, così pesante che dovettero lasciarla in quel luogo, ricoverata in una capanna. In quel luogo fu costruita l’attuale Chiesa del Santuario.


Giuseppe Pugini
Giuseppe Pugini detto il Moretto, Brigante, nasce a Marta il 3 giugno 1853 da Giacinto Pugini e da Rosa Buttarini. Era alto 1,69, aveva una corporatura tarchiata, ciglia e occhi neri, barba nera, colorito bruno, da qui il soprannome di Moretto. Giuseppe di lavoro faceva il pescivendolo. Non svolse neanche il servizio militare, perchè figlio unico. Dal 1872 al 1878 è stato recluso per 37 mesi. Dopo l’uscita di prigione, sembrava aver messo la testa a posto, niente furti, niente di niente.  Ha più di trenta anni prese moglie: Domenica Fedeli, nel 1886 dalla loro unione nasce la primogenita, Lucia, e nel 1888 nasce Giacinto.  Nel giugno 1887 ruba due vacche e due vitelli in un podere vicino Pitigliano, se li rivendette a un certo Felice Cherubini, fu scoperto e processato presso il Tribunale di Grosseto, venne condannato a due anni di galera per abigeato. Impugnò la sentenza presso la Corte d’Assise di Firenze, venne sospesa e allo stesso tempo misero sotto accusa, per   aver giurato il falso, alcuni testimoni.  Il Moretto era convinto che Rocco Patoia lo avesse tradito, credeva che il suo compaesano avesse inviato una lettera al Presidente del Tribunale di Firenze, dicendogli che era stato lui l’autore del furto e che avesse parlato male dei testimoni a suo sfavore. Il 28 agosto 1889 si vendicò uccidendo con un colpo d’ascia alla testa il suo compaesano Rocco. Si dà alla macchia ed incontra il brigante Leonardo Sinopoli. Il 16 settembre 1889, lui, Pascarelli e Sinopoli inviarono una lettera minatoria a Giovanni Salvatori, fattore della tenuta di Trevinano (Acquapendente), gli avevano ordinato 600 £., da mangiare, da bere e da fumare. La sera avanti gli avevano chiesto altre 300 £. Lui gli inviò soltanto il vitto, gli fece dire che i soldi non li aveva. Il fattore non pagò, avvertì i carabinieri. Il maresciallo di Acquapendente si recò sul posto. I briganti furono avvistati e seguiti sino alla frazione di Meano. Durante la notte i carabinieri persero le loro tracce. Il 23 ottobre 1889 chiesero con lettera minatoria all’ingegnere Vittore Caramora una tangente.  Venne emesso un mandato di cattura nei loro confronti, sulla testa di Moretto pendeva anche una taglia di 500 £. Alla fine di novembre 1889 il gruppo dei briganti si divide. La notte del 27 dicembre 1889, Pugini uccise in duello il brigante Sinopoli. Il Moretto morì nei pressi di Bagnoregio il 2 maggio 1890, colpito da una fucilata sparata da un nucleo di carabinieri.

 
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